Caporetto

Ecco un po’ di materiale per approfondire questo momento tragico della Prima Guerra Mondiale in vista del 4 Novembre.

http://www.oilproject.org/lezione/sintesi-prima-guerra-mondiale-luigi-cadorna-armando-diaz-trattato-di-versailles-8184.html

http://www.itinerarigrandeguerra.it/La-Disfatta-Di-Caporetto-Le-Testimonianze-Di-Chi-%C3%88-Restato

http://www.grandeguerra.rai.it/articoli/la-battaglia-di-caporetto/23182/default.aspx

Caporetto

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Fuori Fuoco

Il lampo

Ecco alcuni link per aiutarvi a scrivere i vostri articoli.

Arabia Saudita e diritto di guidare per le donne:

http://www.repubblica.it/esteri/2017/09/21/news/donne_guidare_arabia_saudita_volante_imam_quarto_di_cervello-176125282/

http://www.lastampa.it/2017/09/27/societa/e-sempre-l-8-marzo/arabia-inutile-esultare-per-la-patente-alle-donne-guidare-non-regaler-la-libert-alle-saudite-iQ2784OwHGt9zOu4qY7yhM/pagina.html

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-09-26/svolta-arabia-saudita-donne-potranno-guidare-l-auto–221129.shtml?uuid=AEWMaGaC

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/24/arabia-saudita-donne-si-mobilitano-per-diritto-alla-guida-26-ottobre-tutte-al-volante/755442/

Maria Antonietta e Olympe de Gouges

http://www.treccani.it/enciclopedia/maria-antonietta-d-asburgo-lorena-regina-di-francia_%28Enciclopedia-Italiana%29/

http://laparigidimariaantonietta.blogspot.it/2014/05/10-piccole-curiosita-e-qualche-luogo.html

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/marie-gouze/

http://www.treccani.it/enciclopedia/gouges-marie-olympe-gouze-detta-olympe-de/

http://slideplayer.it/slide/950756/

 

Ricordando Falcone e Borsellino

Aveo 16 anni quando Falcone e Borsellino sono stati assassinati e ricordo l’angoscia di pensare che, allora, non c’era speranza, che tutto era perduto. Non è così, soprattutto se onestà e impegno saranno i valori di voi ragazzi nella vita di tutti i giorni.

http://www.cultura.rai.it/webdoc-legalita/index.html#welcome

http://www.pbs.org/frontlineworld/stories/italy801/video/video_index.html

http://www.raistoria.rai.it/articoli/lattentato-a-falcone/13130/default.aspx

23 maggio 1992, “l’attentatuni” di Capaci: così morì Falcone

Un boato e un’alta colonna di fumo: gli ultimi istanti di vita del magistrato ucciso dalla mafia venticinque anni fa

 Corriere della Sera 23/5/2017

23 maggio 1992. Mentre a Roma il Parlamento è impegnato nella elezione del nuovo capo dello Stato, a Palermo è un caldo sabato di maggio. Il giudice Giovanni Falcone collabora con il ministro Claudio Martelli. Passa a Roma la gran parte della settimana. Ma quando può, nel week end, raggiunge assieme alla moglie Francesca la sua città. Come oggi. Vede i suoi amici. I vecchi colleghi del pool antimafia. Ha da poco compiuto 53 anni il giudice Falcone. Ha festeggiato assieme all’amico Paolo Borsellino, anche lui magistrato e compagno di indagini e battaglie, come racconta Giovanni Bianconi nel libro L’assedio. Hanno brindato Giovanni e Paolo lunedì scorso perché, se anche per l’anagrafe Falcone è nato il 20 maggio del 1939, tutti, parenti e amici, sanno che in realtà la registrazione della sua nascita è avvenuta con due giorni di ritardo.

Giovanni Falcone è un simbolo della lotta alla mafia. Negli anni ‘80 ha fatto parte di un pool con Antonio Caponnetto e Paolo Borsellino. Una squadra di magistrati il cui lungo e duro lavoro di indagini sui crimini di mafia commessi da Cosa Nostra in Sicilia e non solo ha portato all’istruzione di un maxiprocesso cominciato a Palermo nel 1986 e finito nel gennaio del 1992. L’esito del processo in primo grado è stato un successo per il pool: più di 400 imputati, 19 ergastoli e quasi 2.700 anni di reclusione in totale. Pene per la maggior parte confermate in Cassazione. Falcone è pronto a guidare da Roma una superprocura nazionale contro boss e criminali. Ma già dall’autunno del 1991 i mafiosi hanno cominciato a incontrarsi e pianificare la morte del magistrato. Il capo dei capi, Toto’ Riina sta perdendo terreno e vuole vedere morto Falcone. E così anche i boss Matteo Messina Denaro e Giovanni Brusca, e ancora Leoluca Bagarella, Gioacchino La Barbera, Mariano Agate, Biondino, Gioe’. Una rappresaglia, un atto di forza. Una azione simbolica che dimostri, dopo le condanne della Cassazione, la supremazia della mafia sullo Stato.

Giovanni Falcone è sempre più isolato. Gli uomini della mafia lo vogliono vedere morto. E su di lui da qualche tempo si sono allungate le ombre dei sospetti e delle critiche degli uomini dello Stato. La guida della superprocura è tutt’altro che cosa fatta. Già qualche anno fa a Falcone è stata di fatto negata la direzione del pool antimafia a Palermo. A lui il Csm ha preferito Antonino Meli. “Mi avete crocefisso. Perché mi avete inchiodato come bersaglio” il commento amaro del magistrato. Nel mese di giugno del 1989 era fallito un attentato contro di lui nella sua villa all’Addaura. Adesso molti tra i colleghi lo criticano anche per la sua collaborazione con il ministro Martelli.

Ore 17,58 del 23 maggio 1992. Un boato rompe il silenzio di quel sabato palermitano un po’ ventoso. La città è a una manciata di chilometri. All’altezza dello svincolo per Capaci una colonna di fumo si alza densa e nera in cielo. Sembra un terremoto. Quattrocento e passa chili di tritolo aprono una voragine che risucchia la Croma marrone uccidendo Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. L’auto guidata dal giudice Falcone va a sbattere contro il muro di detriti. L’impatto è violentissimo: il magistrato e la moglie Francesca Morvillo vengono scaraventati sul parabrezza. Moriranno in ospedale. Si salva Giuseppe Costanza, l’autista seduto sul sedile posteriore della Croma guidata dal magistrato. E si salvano anche gli agenti di scorta nella terza vettura. Ad azionare il telecomando dalla collinetta è Giovanni Brusca. Racconterà anni dopo di una certa esitazione in quel preciso istante. “Per tre volte Antonino Gioe’ che era con me mi disse vai, vai vai. Non so perché, c’era qualcosa che mi diceva di non farlo. Poi schiacciai”.

Il 25 maggio Oscar Luigi Scalfaro viene eletto presidente della Repubblica. Ai funerali del giudice Falcone e degli agenti di scorta ci sono le più alte cariche dello Stato. Una ragazza rompe le consuetudini e sale sul pulpito. È Rosaria Schifani, vedova dell’agente Vito. Ha 22 anni e un figlio di 4 mesi. Piange. “..chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro… sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano…”. Cinquantacinque giorni dopo, nella strage di via D’Amelio muoiono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Il 23 giugno Borsellino aveva ricordato l’amico Giovanni davanti a un migliaio di persone delle associazioni antimafia nel cortile di Casa Professa a Palermo: “… per lui la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti specialmente le giovani generazioni…, le più adatte a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità”.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due giudici siciliani che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia.
Di loro si racconta infatti che quando erano ancora adolescenti giocavano a pallone nei quartieri popolari di Palermo e che fra i loro compagni di gioco c’erano probabilmente anche alcuni ragazzi che in futuro dovevano diventare uomini di “Cosa Nostra”.

Borsellino (sinistra) e Falcone (destra)

E forse proprio  il fatto di essere siciliani, nati e cresciuti a contatto diretto con la realtà di quella regione, era la loro forza: Falcone e Borsellino infatti capivano perfettamente il mondo mafioso, capivano il senso dell’onore siciliano e capivano il linguaggio dei boss e dei malavitosi con cui dovevano parlare. Per questo sapevano dialogare con i “pentiti” di mafia, sapevano guadagnarsi la loro fiducia e perfino il loro rispetto.
Giovanni Falcone (sinistra) e Paolo Borsellino (destra) Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano coetanei: il primo è nato a Palermo nel 1939, il secondo nel 1940.Durante l’università – alla fine degli anni Cinquanta – Paolo Borsellino  si iscrive al FUAN, un’organizzazione politica di estrema destra. È molto bello pensare che nessuno avrà mai il coraggio di rinfacciargli questa scelta: il suo comportamento è sempre stato così onesto e pulito che sia da destra che da sinistra si doveva necessariamente rispettarlo.
Nel 1963 entra in Magistratura: lavora in diversi tribunali e nel 1975 è trasferito al tribunale di Palermo, dove entra all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici.

Lavora con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile alla sua prima indagine sulla mafia e nel 1980 fa arrestare un primo gruppo di sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano Basile viene assassinato.

Per la famiglia Borsellino la vita cambia e da quel momento in poi tutti vivranno blindati e continuamente protetti da una scorta.Continua a lavorare senza tregua nel pool anti-mafia guidato da Rocco Chinnici, a stretto contatto anche con il suo amico Giovanni Falcone che nel 1979 era entrato anche lui all’Ufficio istruzione processi penali. Ma nel 1983 anche Rocco Chinnici viene assassinato dai mafiosi. Sembra la fine di un’esperienza che stava dando qualche risultato.

Antonino Caponnetto

A Palermo, al posto di Chinnici, arriva Antonino Caponnetto che è assolutamente deciso a portare avanti il lavoro del suo predecessore. Con Falcone e Borsellino e altri bravi magistrati comincia allora l’avventura del pool anti-mafia. In pratica i magistrati di Palermo cercano di combattere la mafia così come negli anni precedenti si era combattuto – e vinto – il terrorismo.
Nel 1983 altri due funzionari di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà – stretti collaboratori di Falcone e Borsellino – sono uccisi dalla mafia
Ma grazie alla capacità dei magistrati di indagare e all’intelligenza di Falcone nel ricostruire la “geografia mafiosa” di quel periodo, un gran numero di mafiosi finisce in galera. 
E finalmente Falcone e Borsellino riescono a mettere in piedi il famoso maxi-processo, un processo in cui sul banco degli imputati siedono ben 475 mafiosi che nel 1987 saranno condannati.
 
In realtà questa grande, grandissima vittoria è anche il principio della fine per i due magistrati e forse è anche la loro condanna a morte.
Antonino Caponnetto deve lasciare il pool per motivi di salute. Al suo posto, invece di Giovanni Falcone che ne era il naturale erede, va a finire un altro magistrato che in breve tempo scioglie il famoso pool antimafia. Comincia una stagione di veleni (Falcone è accusato di “protagonismo” e alla fine chiederà il trasferimento a Roma; a Borsellino vengono tolte le indagini sulla mafia a Palermo e gli vengono assegnate quelle di Agrigento e Trapani). L’unità delle indagini che aveva dato grandi risultati è così definitivamente distrutta.
Ma i due magistrati non abbandonarono la lotta: Falcone dopo il
1988
collabora ancora con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, e riesce a colpire le famiglie mafiose dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina. E
quando è trasferito a Roma progetta la creazione di una Direzione Nazionale Antimafia per coordinare tutta la lotta alla mafia che si svolge in Italia. Falcone doveva esserne il Direttore.
Foto del 5 aprile 1992, a Palermo, durante un dibattito su mafia, politica e società civileFoto del 5 aprile 1992, a Palermo, durante un dibattito su mafia, politica e società civile

Ma il 23 maggio 1992 – con un attentato spettacolare – la macchina di Falcone viene fatta esplodere sull’autostrada che collega Palermo e Trapani: 500 chili di tritolo che tolgono la vita a Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e a tre agenti di scorta.
Quando Falcone salta in aria, Paolo Borsellino capisce che non gli resterà troppo tempo. Lo dice chiaro: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”. Il 19 luglio dello stesso anno un’autobomba esplode sotto casa di sua madre mentre Paolo Borsellino sta andandola a trovare. Il magistrato muore con tutti gli uomini della scorta. Pochi giorni prima aveva dichiarato:

Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento… Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno.

 

‘A megghiu parola è chidda ca ‘un se dici
(antico proverbio siciliano)

Credo che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non siano alleati a Cosa Nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi.
Parlando di mafia con uomini politici siciliani, mi sono più volte meravigliato della loro ignoranza in materia. Alcuni forse erano in malafede, ma in ogni caso nessuno aveva ben chiaro che certe dichiarazioni apparentemente innocue, certi comportamenti, che nel resto d’Italia fanno parte del gioco politico normale, in Sicilia acquistano una valenza specifica. Niente è ritenuto innocente in Sicilia, né far visita al direttore di una banca per chiedere un prestito perfettamente legittimo, né un alterco fra deputati né un contrasto ideologico all’interno di un partito. Accade quindi che alcuni politici in un certo momento si trovino isolati nel loro stesso contesto. E allora diventano vulnerabili e si trasformano inconsapevolmente in vittime potenziali. 
Al di là delle specifiche cause della loro eliminazione, credo si incontestabile che Mattarella, Reina, La Torre [tutti uccisi dalla mafia] erano rimasti isolati a causa delle battaglie politiche in cui erano impegnati.
Il condizionamento dell’ambiente siciliano, l’atmosfera globale hanno grande rilevanza nei delitti politici: certe dichiarazioni, certi comportamenti valgono a individuare la futura vittima senza che la stessa se ne renda nemmeno conto.

Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

Tratto da: http://www.scudit.net/mdfalcone.htm